Autoritratto
Nella favola di Pinocchio, quando la Fata dona la vita al burattino, gli dice che se vorrà diventare un bambino vero dovrà dimostrare di essere buono, coraggioso e disinteressato.
Ricordo quando da bambina guardavo alla televisione la favola di Pinocchio. Era un momento pacifico e fantastico, che mi permetteva di dimenticare per un momento la guerra che colpiva il mio Paese, l’Iran. Per me crescere durante la guerra, è stato mettere in pratica le parole della Fata, come insegnamenti fondamentali e necessari.
Mi sono sentita simile a Pinocchio nel suo percorso nel bosco, maledetto dalla presenza del Gatto e della Volpe, che lo sbeffeggiano, feriscono, confondono, addirittura, lo impiccano ad un albero, ritardando continuamente il suo ritorno a casa.
Ricordo quando arrivavano le notizie in televisione che gli aerei iracheni buttavano sulle città delle bambole, che in realtà erano bombe. I bambini pensavano che fossero giochi, e si avvicinavano a raccoglierle.
Io portavo sempre con me la mia bambola, che immaginavo viva, come il burattino del cartone. A lei parlavo e lei mi poteva rispondere, niente di diverso rispetto ad una persona reale. Per me era un rapporto importante, serio, concreto; con lei condividevo tutto, ponevo domande, instauravo dei dialoghi profondi e veri. Come Pinocchio, immaginavo che anche la mia bambola fosse viva, con un’anima, capace di muoversi e parlare con me, nonostante le sue forme, fragili e goffe.
Quando si diffuse la notizia delle bambole-bombe che cadevano dal cielo, credetti che anche la mia bambola fosse in pericolo, che tutto ciò che avevo, come era arrivato, potesse esplodere via.
Durante la guerra non puoi pensare al futuro, non puoi immaginarlo, perché per te non esiste. Puoi solo vivere il presente, quello che hai in quel momento.
Impari ad amare l’aria, il respiro, le piccole cose buone che ti circondano, in un modo talmente intenso e profondo che prima non potevi immaginare. Ami tutto ciò che ti rende ancora viva, anche l’essere bambina. Era importante conservare me stessa, il mio mondo, nonostante tutto.
Per me tutto questo ha significato essere disinteressata, ed essere coraggiosa ne è stata una diretta conseguenza, e conservare la bontà, quella pura e semplice che si ha da bambini, il mio primo impegno.
Ma le parole della Fata sono in realtà un impegno costante da ricordare, per tutta la vita:
ogni giorno dobbiamo dimostrare a noi stessi di essere dei bambini veri.
L’ATTESA
Il momento esatto in cui persi la mia bambola sul taxi, nella fretta di uscire e cercare il rifugio più vicino, mentre suonava l’allarme, provai per la prima volta la sensazione del “vuoto” originato dalla perdita. Cadevano le bombe, eppure io cercavo di spiegare a mia madre che la mia bambola era rimasta sull’auto, che ormai era persa. Poco dopo, persi anche mia madre; poi i miei fratelli, divisi da quella guerra che ancora capivo poco.
Perdere e aspettare il ritorno.
Passarono sei anni prima che potessi rivedere mia madre; venti, per rivedere i miei fratelli fuggiti in Germania.
Eppure l’attesa sulla quale ho costruito tutti quegli anni, è stata una delle esperienze più belle e importanti della mia vita.
Il momento in cui preparavo con cura le lettere per i miei fratelli era pieno di valore; e passavano anche mesi prima di ricevere una loro risposta: questo tempo si colmava di attimi, così intensi per me, nei quali immaginavo le loro reazioni, le risposte, le vite che conducevano, il mondo che vivevano. Per poi pensare, di nuovo, alla lettera successiva. Momenti che riempivano il vuoto della mancanza.
In questo tempo l’attesa si colma di ricchezza, diventa formativa; quello che sembra vuoto diventa pieno. Si riempie di significato e di un senso, fondamentali.
L’attesa finalizzata a riunire, ricongiungere due parti dello stesso nucleo, mi ricorda questo vuoto nel soffitto: le finestre non si uniscono del tutto, quella parte che rimane aperta, che lascia entrare il fuori e uscire il dentro, è attesa.
Attesa di un ricongiungimento di due parti, ora staccate.
Attesa che diventa luce pura, estensione del dentro verso il fuori e viceversa, senza filtri o limiti.
In questo piccolo spazio, si trova la mia infanzia e ciò che sono diventata.
Quando rividi i miei fratelli in aeroporto, l’abbraccio, che ci occupò interamente, ricordo che colpì tutti i passanti. Da bambini che eravamo, ci ritrovavamo adulti.
Ora eravamo insieme, dopo tutto questo tempo.
Tannaz LAHIJI